Nel giorno dedicato alla violenza contro le donne e di genere ogni cosa sarà detta. Ogni appello rimarcato, per una piaga che continua nei numeri e nella cronaca, ad avere proporzioni devastanti.
Noi di “Calabria Contatto” abbiamo voluto dare voce alle vittime. Troppe. Le parole sono quelle di alcune di loro, vittime di fiducia prima, e di violenza poi.
Una storia scrigno di tante altre, dentro la quale in molte si riconosceranno, e tanti (purtroppo molti di più di quanto si pensa) si sentiranno chiamati in causa.
Che nessuno si senta innocente, nessuna si senta estranea.
Questa lettera è di tutti.
Caro uomo perbene,
Lo so che è questo che ti dici quando ti guardi allo specchio e inizi la tua recita nel mondo ogni giorno: sono una persona perbene.
Ed è quello che, ridondante, in ogni storia di donna ammazzata, vituperata e violata, chiunque si affretta a dire:
“Era un uomo perbene.”
Perché si ricorda di te la cordialità, mista alla riservatezza di chi cammina ai margini, senza farsi “toccare” mai.
Ed è in quel mondo di apparente integrità che tessi una tela abile, invisibile.
Una rete con maglie di premura, attenzione e… presenza.
Una presenza ingombrante e pian piano totalizzante. In quel mondo, ogni invadenza è travestito d’amore , non controllo.
Ogni richiesta è affetto, non dominio.
E’ cosi che hai fregato anche me. Si, anche me.
Ai miei occhi tutto era distorto.
Sai, uomo per bene, ho sempre detto alle altre che il seme della prevaricazione ha origini lontane, e che spunta anche nel cemento, basta guardare con attenzione.
Non ho considerato, però, che la tempesta di sabbia che una persona solleva può accecare chiunque.
No, annebbiare, non accecare, perché il mio occhio ancora dolorante e gonfio mi ricorda che non sono stata cieca.
Ho visto solo a metà, e questo mi è quasi costato l’altro occhio.
Ho voluto, in nome di quello che una donna è portata ad accettare, vestirmi di accudimento e tolleranza.
“Un uomo perbene non è mica perfetto”, mi dicevo.
Ha, come tutti, i suoi piccoli demoni da affrontare, e se c’è qualcuno che può aiutarlo, quella sono io.
Una donna può far tutto, mi hanno insegnato.
Chissà perché, poi, quel tutto va bene finché ha le sembianze di quella maledetta di una crocerossina.
Giusto tranquillizzarti, dunque.
Prendersi cura delle tue insicurezze, abbracciare ogni fragilità.
Perché un uomo è anche quello che non sa essere. E una donna sa portarlo. L’amore, dicono, copre ogni colpa.
Per questo quando hai varcato ogni soglia della mia vita, ho voluto pensare che la fiducia si costruisce facendo luce la dove si vedono tenebre, che non ci sono.
E tu, uomo innamorato, mi hai sempre spiegato che l’amore tutto condivide, e tutto può e deve superare.
Compresi incidenti di percorso.
I piccoli tamponamenti, però, erano sempre della stessa natura: parole di svilimento, possesso fisico e mentale…
Ogni cosa che era parte di me, doveva passare PER TE. E poi, col tempo, ESSERE TE.
E poi? E poi…non è bastato.
Uomo perbene, azzerata ogni minaccia esterna, la tua rabbia è diventata quella di chi, se non riesce a scolpire il giocattolo, lo deve demolire.
Hai cominciato dall’anima, tradendo ogni goccia di fiducia nel mondo che mi restava e sottraendo ogni cosa di me diversa da quello che tu volevi che fossi.
Hai finito sul volto, percuotendo un viso che si è sempre mostrato senza vergogna. E ora porta i segni della tua di vergogna.
Ho lanciato un urlo soffocato, per la sorpresa del dolore.
Ho ingoiato le lacrime, per restare in piedi.
Io non riesco a piangere, da mesi.
Invece le tue di lacrime sono scese copiose, mentre ti prendi anche l’ultima cosa mia : la sofferenza.
Sei pieno compassione, di te.
E io non mi sono compatita neanche per un attimo.
Ricordo solo buio per qualche secondo. Il dolore. Non l’ho neanche visto arrivare il ceffone che è nei ricordi un tir in corsa.
Il tradimento dentro il tradimento. Non ti ho visto arrivare.
Non ti ho visto, non ho visto.
Ho solo potuto sentire la grandezza del tuo amore in quel tonfo che mi ha tagliato in due, anche se non mi ha spezzata.
Sono riuscita ad uscire da quella casa e farmi medicare.
Sono riuscita a non sentirmi colpevole, umiliata e violata.
Sono riuscita, con un solo occhio, a vedere quanto stomaco ci vuole nello scaricare un colpo in casa propria, con la propria donna.
Infondo, sono entrambe proprietà : TUE.
Eppure riesco a NON vergognarmi… di me, e perfino del mio amore per te.
Ma è il dolore di un lutto, quello di chi perde con te una parte di sé.
Sanguino in silenzio e senza alibi. Forse non smetterò mai.
E un oggetto, questo, non può farlo.
Esattamente come una persona non può violarne un’altra.
Caro uomo perbene, non ho voluto stare alle tue regole e hai voluto dimostrare la tua forza.
Ora, dimmi : Ti senti più forte?
Perché io si, sono più forte.
Questo dolore mi dice che sono ancora viva per provarlo.
Ora so che una parola, seppur sussurrata, non è mai “solo una parola”.
Uno schiaffo, non è MAI “solo uno schiaffo”.
Il modo in cui mi hai mostrato il tuo amore, mi porta ogni giorno davanti allo specchio per guardare negli occhi il coraggio… quello vero.
E la perdita, quella di chi si fida di un uomo, perbene.
E tu? Quando nel silenzio ti metti davanti allo specchio, cosa vedi?”
Adriana
La domanda per voi
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