Le fiabe: patrimonio dell’umanità e di umanità. Fucina di canti, incanti e disincanti, di idee, passioni e magarìe, di sogni e segni, di antiche – e ancor giovani – speranze.
Fiabe da ascoltare, raccogliere, trascrivere e custodire, come fece Letterio di Francia nel 1929, muovendosi in punta di piedi tra storie, “cunti”, stornelli, aneddoti e memorie dell’umana miseria calabrese.
Un’opera mirabile, oggi ancor più preziosa nella pregevole edizione in due volumi pubblicata da Donzelli Editore (2015), con traduzione italiana a fronte (a cura di Bianca Lazzaro), un saggio introduttivo di Vito Teti e le preziose sedici tavole illustrate di Fabio Negrin.
Umili fiori selvatici
Si tratta di “umili fiori selvatici”, raccolti qua e là, grazie alla dedizione di “novellatori e novellatrici” (di cui l’autore riporta il nome, in calce ad ogni brano). Sessantuno storie, ascoltate “in diretta”, dalla viva voce narrante di donne e fanciulle del popolo, tra idiomi locali, che danzano su sonorità speciali, fatte di parole intrise di sfumature di significanti e significati.
“A Palmi di Calabria, Letterio di Francia ha trascritto una raccolta di fiabe che ha i riscontri più ricchi e precisi che si siano mai fatti in Italia”: così Italo Calvino scrive nell’ Introduzione alle sue Fiabe Italiane del 1956.
Orizzonti sensoriali di stupore e meraviglia
Le fiabe e novelle calabresi schiudono orizzonti sensoriali di stupore e meraviglia, tra il profumo di caldarroste e il calore del focolare, tra i briganti e la malasorte, tra la povertà e la profondità dell’essere e dell’esistere, tra timori e derisioni della povera gente.
Le trame, molteplici ben assortite, oscillano tra aspetti tradizionali e altri unici e originali: c’è una principessa, così desiderosa di un marito da impastarsene uno con farina e zucchero, c’è Giufà, Betta Pelosa, re Pepe, la Bella dai sette abiti e la Mamma della Sibilla. Ci sono briganti, maghe, donne del popolo e personaggi con nomi strani e fantastici. C’è la maestra della mamma della Madonna bambina, condannata a starsene in Aspromonte da dove “ammaga” chiunque.
Le fiabe e novelle calabresi, intrise di fame e di arsura, descrivono mondi reali, fatti di vuoti e attese, di carbone e brace, di violenze e soprusi, mentre quel “mi lu cunti lu cuntu?” riecheggia in ogni pagina e parola.
Un’opera necessaria e fondamentale; un’opera unica e preziosa sin dalla dedica:
“Alla mia terra natia consacro questi umili fiori selvatici da me colti nei verzieri sempre rigogliosi della tradizione popolare.”
Tra letteratura e ricerca
Tra i meriti del Di Francia, secondo l’antropologo Vito Teti, c’è quello di essere riuscito a “legare gli studi letterari, filologici e storico-critici sulla novellistica italiana con i suoi interessi per la demologia e le fiabe popolari calabresi”. È forte, dunque, il vincolo intrecciato dall’autore di Palmi, tra un’accurata ricerca storico-antropologica e la matrice emozionale, insita nel genere letterario della Fiaba. Un’opera che nasce dal grande amore per una terra dolce e amara, che spinge l’autore, a conclusione di ogni storia anche a una sorta di riverenza nei confronti del contenuto trattato:
“ A fàula è ditta
e cacciamundi a barritta”.
Il libro
Titolo: Fiabe e novelle calabresi.
Autore: Letterio di Francia.
Editore: Donzelli Editore
Altre info: cofanetto con 2 voll. rilegati, 1072 pagine, anno 2015.
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